Eccomi qui! Non sono
sparita nelle ultime due settimane, soltanto, entrata in una fase di stanchezza
da “inizio primavera”, in cui tutto mi costava fatica. Anche scrivere. Ma ora
sono tornata, viva, vegeta e più logorroica che mai!
Domani è l’8 marzo e,
oltre ad essere il compleanno di mia zia, è anche la Festa della Donna. Ogni anno questa data mi
fa venire i brividi. Per quello che è diventata. Vi racconto un aneddoto. Quando
ero una giovane matricola tutti i venerdì sera, cascasse il mondo, andavo a
ballare con i miei amici in una nota discoteca milanese molto in voga tra gli
universitari di inizio millennio, Le
Banque. Mi divertivo come una matta, soprattutto quando in fase pre
chiusura partivano i revival. Ma bando alla malinconia! Un anno, credo fosse il
2001, la Festa
della Donna cadde di venerdì. Io ero lì, come tutte le settimane, con i miei
amici. Ma quella sera vedevo una fauna diversa. Una torma di tardone si
aggirava inquieta nel locale. Ingenuamente, pensai fossero i soliti gruppi di
amiche che aspettano l’8 di marzo per scappare dalla routine coniugale e fare
un po’ di caciara fra donne. Mal me ne incolse invece! Nel bel mezzo della
serata, la musica si interrompe, la pista si svuota e le luci vengono puntate
al centro. E a quel punto, compare lui: lo spogliarellista. Un abominevole
palestrato sui 35 anni, capelli plastificati dal gel in una acconciatura alla Magic Silvan, divisa da Man in Black che, al ritmo di Hot Stuff e simili amenità, è stata
sostituita dall’orrore che il mio cervello temeva ma rifiutava di accettare: il
muscolo gommoso marrone di lucido e le pudenda coperte da un perizoma maculato.
Io ero annichilita contro una colonna. Non tanto per il penoso spettacolo di un
poveretto che si arrabattava in qualche maniera per campare, quanto per le
succitate signore. In preda ai più turpi deliqui e tardivi sconvolgimenti ormonali,
si gettavano addosso all’unto nella speranza di palpeggiarlo, attirarne l’attenzione
o di carpirne le grazie. Per la prima volta nella mia vita, mi sono vergognata
di essere una donna. Ma non tanto per la pietosa manifestazione di furore
uterino e di somma volgarità cui stavo, mio malgrado, assistendo ma perché nel
comportamento di quelle arpie inferocite riconoscevo il medesimo atteggiamento
che per secoli ci ha reso succubi degli uomini, vittime di una società che ci
riteneva oggetti da usare e gettare via.
Purtroppo, molto spesso la Festa della Donna si riduce
a questo. A femmine isteriche che inseguono un uomo. A una mimosa spennacchiata
che qualche provolone ti fa trovare sulla scrivania, ritenendo di essere
galante. A squallide battute su un giorno speciale da festeggiare con le
amiche, innalzando falli finti come vessilli. Io non mi riconosco in questo.
Non voglio. E vorrei non dover vedere nulla del genere. Né domani, né mai. Perché
le donne non sono e non devono essere questo.
L'8 marzo 1972 la manifestazione di Roma si concluse con una carica della polizia che manganellò e disperse le manifestanti. La loro colpa? Avere portato in piazza cartelli che mostravano scritte quali «Legalizzazione dell'aborto omosessuale», «Matrimonio = prostituzione legalizzata».
L'8 marzo 1972 la manifestazione di Roma si concluse con una carica della polizia che manganellò e disperse le manifestanti. La loro colpa? Avere portato in piazza cartelli che mostravano scritte quali «Legalizzazione dell'aborto omosessuale», «Matrimonio = prostituzione legalizzata».
Rileggete la data. 1972. Io sono nata 9 anni dopo. Un
battito di ciglia. La legge consentiva il divorzio
da soli due anni anche se non sarebbe stato formalmente riconosciuto fino
al referendum del ’74 e l’aborto era
illegale e lo sarebbe stato per ancora sei anni. Non so voi, ma quando sento
parlare di divorzio o di interruzione di gravidanza, per quanto si tratti di
scelte difficili e dolorose, sono abituata a considerarle diritti basilari,
come andare a scuola o essere curata in caso di malattia. Per le nostre madri
non era così. Non sto parlando di personaggi di cui si legge nei libri di
storia, collocate in uno spazio – tempo indefinito, ma delle donne a noi più
vicine. Le nostre nonne non potevano neppure votare. Che fortuna abbiamo noi? Quale
grande privilegio abbiamo avuto? Vi immaginate cosa significhi vivere in un
mondo dove se vuoi porre fine ad un matrimonio devi pregare Dio che tuo marito
sia una persona civile e ti consenta di andartene senza ammazzarti? Vivere in
un mondo dove se eri tu a tradire tuo marito e lui ti uccideva per questo,
avrebbe avuto una pena lieve perché fino al 1981 la legge italiana prevedeva l’esistenza
del delitto d’onore? Vivere in un
mondo in cui, se per qualche ragione, non volevi o non potevi avere un figlio, dovevi
scegliere se morire sotto i ferri di una mammana o essere perseguita dalla
giustizia? Significa vivere nella paura e nella sudditanza. Nessuno si augura
di dover prendere simili decisioni nella vita ma abbiamo il diritto di
scegliere. Dobbiamo averlo. Siamo esseri umani, prima che donne o uomini. E abbiamo il dovere di comportarci come tali.
Tantissimo resta ancora da
fare perché le donne siano davvero libere di poter vivere la propria vita, di
potersi sentire sicure in ogni momento, anche per strada di notte, di poter
avere i diritti che spettano ad una persona in quanto tale, uomo o donna che
sia. Ma domani mi piacerebbe che fosse il giorno in cui celebriamo le donne (e
gli uomini) che hanno combattuto perché tutto quello che oggi diamo per
scontato diventasse una realtà, che ci hanno regalato un presente, che anche se
difficile, è comunque nostro, a cui dobbiamo tutto e in memoria dei quali non
dobbiamo mai smettere di lottare per la nostra dignità. A partire dalle piccole
cose.
Auguri, amiche. Ve li
faccio di cuore e spero che anche in quelli che farete e riceverete ci sia la
speranza di un futuro ancora migliore per i nostri figli. Che deve partire da
noi e dall’eredità che abbiamo ricevuto.
Vi bacio
SS
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