martedì 2 luglio 2013

#chevitadimerda


Qualche anno fa Valeria Rossi esasperava gli italiani con le sue tre parole – sole, cuore, amore – ma si sa, in tempo di crisi c’è poco da stare allegri e allora la parola d’ordine di quest’estate 2013 è #chevitadimerda.

Lo so che un pochino vi sono mancata e che la mia latitanza è stata abbastanza vergognosa.  Tra guai lavorativi, personali e ogni genere di disastro, gli ultimi due mesi sono stati piuttosto complicati. Ma la verità è una sola: #chevitadimerda.




Per chi non lo sapesse il #chevitadimerda non è una mia invenzione – anche se ho il serio sospetto che la signorina mi abbia in qualche modo sentita, dal momento che la frase in questione è il mio mantra da sempre, e abbia deciso di omaggiarmi – ma il refrain di Alfonso, primo singolo di Levante, si preannuncia la colonna sonora dell’estate, o almeno della mia.






Canzone e video sono esilaranti nella loro assoluta semplicità. E con la stessa spontaneità con la quale potrei avere uno dei miei exploit, Levante – all’anagrafe Claudia Lagona, catanese di nascita e torinese di adozione – racconta in maniera perfetta la condizione simil fecale della vita di una donzella che non riesce a sentirsi a suo agio nel mondo che la circonda.

Scoperto per caso qualche giorno fa su Repubblica.it, il buon Alfonso ormai lo conosco molto bene.  E ho deciso: il bouledogue di qualche post fa si chiamerà proprio così.

Ma Catania, non è solo la città che ha dato i natali all’ironia delicata di Claudia ma anche – purtroppo – il luogo di origine di uno dei fenomeni sociali più terrificanti che il degrado umano potesse partorire: i prediciottesimi.

Qui occorre un passo indietro però. Chi vive sopra il Po o forse pure sopra il Tevere difficilmente può comprendere il valore culturale del passaggio alla maggiore età. Al massimo le ragazzine della Milano bene si impacchettano da bomboniere e compiono il loro esordio in società al braccio di un imberbe ed impacciato allievo della Scuola Militare Teuliè. Le figlie della Milano un po’meno bene fanno sfoggio di sottane inguinali in discoteche più o meno alla moda e risolvono la serata vomitando l’anima alle 4 del mattino. Ma “al meridione” no. I diciotto anni portano con sé un rito di passaggio, da celebrare con la stessa – spesso terrificante – pompa che si dedica ai matrimoni.   

E qui, in questo sordido humus di degrado socio - culturale, nascono e proliferano i video “pre”. Pre qualunque cosa: prediciottesimo, prematrimomio, perfino precomunione. Ignobili manifestazioni di inspiegabile edonismo da parte di personaggi grotteschi, caricature perfino di se stessi, tanto più gravi quanto minore è l’età dei protagonisti, vittime della volgarità intellettuale dei genitori e a loro volta bifolchi che genereranno buzzurri. E così via, fino a che il buon gusto e la decenza non saranno altro che un lontano ricordo.

Un esempio su tutti. Il prediciottesimo di Arianna. Firmato da Gianni Muscolino, il maestro del genere. Guardatelo. Il vostro umore e la vostra autostima trarranno enorme vantaggio dalla visione. Un po’ meno le speranze di un futuro migliore per questo disperato Paese.





Che dire… #chevitadimerda.

Vi bacio

SS

venerdì 12 aprile 2013

La Design Week… è una cagata pazzesca!


Ebbene sì, l’ho detto e lo ribadisco! Ogni anno arriva, inesorabile, come   Capodanno, San Valentino, Ferragosto... quelle occasioni che, anche se le odi, volente o nolente, le devi subire. Senza poterci fare nulla. Solo stringendo i denti e aspettando che passi. Ma ogni anno sempre peggio: di giorno un traffico infernale e di sera… la calata dei barbari. E i poveri milanesi a subire l’orrore. E allora diciamolo, urliamolo come il buon Rag. Fantozzi, obbligato ad assistere per l’ennesima volta alla terrificante proiezione de La corazzata Kotiomkin : La Design Week… è una cagata pazzesca!






Sono molteplici le motivazioni che mi fanno sostenere questa tesi, probabilmente controcorrente (ma me ne frego), e vado sinteticamente ad illustrarvele:

Design? Ma quale design! – Il Salone Internazionale del Mobile, perché così si chiama, “nasce nel 1961 con l'intento di promuovere le esportazioni italiane di mobili e complementi”. Così recita il sito. Insomma una longa manus dei mobilifici brianzoli che si estende su territorio urbano. Ma fin qui, nulla da dire. Pregevole iniziativa. Ma la vera iattura è un’altra: il FuoriSalone. Edizione dopo edizione, come un immondo Leviatano, si allarga, si ingigantisce, porta con sé nefandezze, fino a che non riuscirà ad inghiottire tutto e tutti. Perché diciamocelo sinceramente: ma l’avete mai fatto un giro in via Tortona e dintorni? Il gusto è assolutamente soggettivo, ma il 95% degli obbrobri in esposizione sarebbero design?! Secondo me si chiamano in un altro modo, cagate appunto. A 12 anni avevo fatto una deliziosa statua del mio cane, dipinta a mano. Mia madre la custodisce ancora gelosamente. Devo pensare di portarla al FuoriSalone. Sia mai che sono un genio incompreso (perfino a me stessa) dell’arte contemporanea.

La calata dei barbari – Siamo alle solite. Alla totale assenza di decenza. Non paghi del dubbio gusto dei molti sedicenti designer, a turbare la quiete, giungono torme infernali di buzzurri che approfittano dell’occasione per mangiare a ufo. Ora io dico, ma perché accalcarsi in qualche mostruoso evento, tra vippuncoli da quattro soldi, hipster schizzinosi e poveracci che tentano di emularli per darsi un contegno mentre in realtà bramano solo un aperitivo gratis e qualche tartina spolverata di bava e forfora degli astanti? Ecco, non so a quale delle tre categorie umane distribuirei il maggior numero di legnate sul cranio.





Anzi avrei un’idea migliore. Vi racconto un aneddoto. Qualche anno fa, ancora innocente e ignara dell’orrore che mi attendeva, vengo trascinata dopocena in via Tortona. Io non possiedo parole per descrivere lo scempio. Giovinastri malandati, avvinazzati e scarsamente amanti del sapone, formavano un unico grumo di umanità male in arnese che gozzovigliava per la strada. Ricordo che, nel tempo che ho impiegato ad attraversare quella marmaglia, ho provato pietà per i poveretti che si trovavano ad abitare nei palazzi lungo la via. Impossibile entrare o uscire da casa propria. Accerchiati dalla bruttezza. E allora ho pensato cosa avrei fatto io in quelle misere condizioni. Credo esista un’unica soluzione, quella antica ma sempre efficace: la pece bollente. Secchiate dalla finestra e la pace torna in men che non si dica!

Vi invito, per ulteriore chiarezza (o per irritarvi ancor di più), a leggere questo bellissimo post pubblicato da Grazia.it  per comprendere meglio il desolato genere umano che popola Milano in questi giorni di sventura.

Per quanto riguarda me ed il mio weekend, non intendo mettere naso fuori di casa fino a che l’assedio non sarà concluso. Approfitterò del bel tempo per ripulire il terrazzo su cui, in mia assenza, la verzura ha preso il sopravvento.





P.S. Unica nota positiva: Musei Civici gratuiti fino a domenica. Quasi quasi ci scappa un salto al Museo del Novecento...

Resistete fino a lunedì!

Vi bacio

SS

mercoledì 27 marzo 2013

Ho voglia di te


Sì, lo so… scompaio e ritorno dall’oblio citando Moccia. Lecito pensare “ma perché non è rimasta dov’è stata fino adesso?”. Però, giuro, non si tratta di un’improvvisa irrequietezza tardo adolescenziale, né di sbalzi ormonali in vista della stagione degli accoppiamenti. Non mi riferisco ad un uomo, anzi, nemmeno ad un essere umano. Quanto ad un cane.



Ebbene, lo ammetto, un po’ (tanti) di turbamenti ed irrequietezze questo avvento così recalcitrante di primavera me li sta dando. Questioni lavorative, scompigli interiori, riflessioni amorose, tutto si mescola insieme formando una mistura che sobbolle in un calderone a rischio esplosione. Sarà per questo il mio prolungato silenzio e anche questo irrefrenabile desiderio: avere un cane.

Sono sempre stata circondata di animali – purtroppo non solo a quattro zampe – cani, gatti, miei, di amici, vagabondi, compagni di una vita o solo di qualche momento, botoli ignobili, con pedigree o trovati nella spazzatura, ma con tutti ho sempre condiviso lo stesso amore viscerale, fatto di un rapporto fisico, di baci, di parole, di comportamenti umani a tutti gli effetti perché che “gli animali non capiscono” è una fandonia inventata da chi non mai provato a vederli come altro che graziosi peluche. Ad amarli, coccolarli, crescerli, come fossero figli, poi fratelli e infine anziani genitori. Perchè un cane (o un gatto) ti fa sperimentare, in forma condensata, ogni tipo di rapporto affettivo che la vita possa offrire. E, a differenza degli umani, non ti delude, ti ama incondizionatamente, ti ridà moltiplicato per mille qualunque cosa di buono tu faccia per lui. E non ti abbandonerà mai. Fino al suo ultimo respiro.

E in questo momento della mia vita, dopo qualche anno che vivo da sola e che il mio cane e il mio gatto sono rimasti con i miei genitori, avrei proprio voglia di un fetido cagnaccio che la mattina mi viene a svegliare con le sue bave, che mi guarda come fosse digiuno da un mese non appena infilo anche solo una caramella in bocca, che mi obbliga a portarlo a spasso e mi resta appiccicato come fossi la sua ragione di vita. Uno di quei cagnacci brutti, ma talmente brutti che diventano belli nel loro orrore. Ok, lo dico, mi piacerebbe un bouledogue francese. Più un pipistrello che un cane. Una bestia così orrenda e sgraziata che sei triste e lo guardi non può che metterti di buon umore. Un cane freak. Che russa come un locomotore non appena chiude gli occhi. Che (come me) se cammina 10 minuti si siede e non si muove più. Un cane da divano. Da baci tra le pieghe della pellacchia e sotto le manine e i piedini da porcello.



Esistono però due problemi, uno di ordine pratico ed uno di ordine etico. Il primo: sarò in grado di gestire, completamente da sola, un cane? Stare dietro alle sue esigenze che non sono solo pappa, acqua e passeggiatina ma educarlo, passare del tempo con lui, renderlo felice e soprattutto renderlo un cane non un pupazzo. E’ un timore fondato. Ho sempre avuto animali ma non li ho mai gestiti da sola. Non ho mai dovuto rinunciare alle ferie per loro, correre a casa per la pipì o i croccantini, organizzare la mia vita in base alle esigenze di un altro essere vivente. C’era sempre qualcun altro a farlo per me. E con un cane non esistono ripensamenti, almeno per me. Il cane è come un figlio. Per la vita. Non è che fai un figlio o lo adotti, poi capisci che ti crea dei problemi e lo molli a qualcuno. No. Il cane è tuo. Uno dei pochi rapporti davvero “finché morte non vi separi”.

Il secondo problema è tutto mio, forse. Un bouledogue è un cane di razza e in quanto tale, generalmente, da acquistare. Ma questo non è concepibile per me! Tornando al discorso di cui sopra, i figli si comprano? Esistono vite umane in vendita? E perché allora dovrei comprare un cane? L’anima e l’amore di un essere vivente non possono avere un valore economico. Io voglio un cane da amare non un oggetto da mettere in mostra nelle esposizioni canine. Non mi importa se ha la zampa sbilenca, il garretto più alto o più basso degli standard accettati, le orecchie perfette o altro.

Osserverete, giustamente, che posso andare al canile. Verissimo. Ma qui subentrano tre ordini di questioni.

  • Se metto piede in un canile (quale peraltro?) esco in lacrime e con 200 cani, non uno. Risultato, mi cacciano dal condominio e torniamo tutti al canile a vivere. Anche io. 
  • Io vorrei un cane - pipistrello. Un bouledogue. Un cane – mostro che mi faccia ridere ogni volta che lo guardo.
  • Infine, una domanda a cui io non ho mai trovato (o forse non ho mai avuto il coraggio di trovare) una risposta. Che fine fanno i cani di razza, magari senza pedigree, che superati i 3/4 mesi di età non vengono venduti? I cuccioli imperfetti? Quelli importati, come fossero patate in una cassa, ammucchiati dentro un bagagliaio da qualche ignobile paese slavo? Io vorrei uno di quei botoli, una pallina spaventata da curare e proteggere.




Lo so, vi sto dando il diabete con questo post… chi ama gli animali mi adorerà, chi non li ama vomiterà. Però, anche in questo caso, anzi soprattutto in questo caso, fate lo sforzo di leggere. Di arrivare fino qui. E provate a cercare di capire quale mondo immenso si apra dietro gli occhi di una creatura per cui sarete voi, tutto il suo mondo.

Se riesco, torno prima di Pasqua. Dopo sarò anche io un uovo e mi toccherà aggiornarvi sul procedere della mia Remise en (S)Forme.

P.S. Chiaramente, chiunque sapesse di un pipistrello che cerca casa… fatemi sapere! Ho già in mente nomi deliziosi per il fortunato/a!

Vi bacio

SS

giovedì 7 marzo 2013

Sono una donna, non sono una santa


Eccomi qui! Non sono sparita nelle ultime due settimane, soltanto, entrata in una fase di stanchezza da “inizio primavera”, in cui tutto mi costava fatica. Anche scrivere. Ma ora sono tornata, viva, vegeta e più logorroica che mai!

Domani è l’8 marzo e, oltre ad essere il compleanno di mia zia, è anche la Festa della Donna. Ogni anno questa data mi fa venire i brividi. Per quello che è diventata. Vi racconto un aneddoto. Quando ero una giovane matricola tutti i venerdì sera, cascasse il mondo, andavo a ballare con i miei amici in una nota discoteca milanese molto in voga tra gli universitari di inizio millennio, Le Banque. Mi divertivo come una matta, soprattutto quando in fase pre chiusura partivano i revival. Ma bando alla malinconia! Un anno, credo fosse il 2001, la Festa della Donna cadde di venerdì. Io ero lì, come tutte le settimane, con i miei amici. Ma quella sera vedevo una fauna diversa. Una torma di tardone si aggirava inquieta nel locale. Ingenuamente, pensai fossero i soliti gruppi di amiche che aspettano l’8 di marzo per scappare dalla routine coniugale e fare un po’ di caciara fra donne. Mal me ne incolse invece! Nel bel mezzo della serata, la musica si interrompe, la pista si svuota e le luci vengono puntate al centro. E a quel punto, compare lui: lo spogliarellista. Un abominevole palestrato sui 35 anni, capelli plastificati dal gel in una acconciatura alla Magic Silvan, divisa da Man in Black che, al ritmo di Hot Stuff e simili amenità, è stata sostituita dall’orrore che il mio cervello temeva ma rifiutava di accettare: il muscolo gommoso marrone di lucido e le pudenda coperte da un perizoma maculato. Io ero annichilita contro una colonna. Non tanto per il penoso spettacolo di un poveretto che si arrabattava in qualche maniera per campare, quanto per le succitate signore. In preda ai più turpi deliqui e tardivi sconvolgimenti ormonali, si gettavano addosso all’unto nella speranza di palpeggiarlo, attirarne l’attenzione o di carpirne le grazie. Per la prima volta nella mia vita, mi sono vergognata di essere una donna. Ma non tanto per la pietosa manifestazione di furore uterino e di somma volgarità cui stavo, mio malgrado, assistendo ma perché nel comportamento di quelle arpie inferocite riconoscevo il medesimo atteggiamento che per secoli ci ha reso succubi degli uomini, vittime di una società che ci riteneva oggetti da usare e gettare via.

Purtroppo, molto spesso la Festa della Donna si riduce a questo. A femmine isteriche che inseguono un uomo. A una mimosa spennacchiata che qualche provolone ti fa trovare sulla scrivania, ritenendo di essere galante. A squallide battute su un giorno speciale da festeggiare con le amiche, innalzando falli finti come vessilli. Io non mi riconosco in questo. Non voglio. E vorrei non dover vedere nulla del genere. Né domani, né mai. Perché le donne non sono e non devono essere questo. 


L'8 marzo 1972 la manifestazione di Roma si concluse con una carica della polizia che manganellò e disperse le manifestanti. La loro colpa? Avere portato in piazza cartelli che mostravano scritte quali «Legalizzazione dell'aborto omosessuale», «Matrimonio = prostituzione legalizzata».



Rileggete la data. 1972. Io sono nata 9 anni dopo. Un battito di ciglia. La legge consentiva il divorzio da soli due anni anche se non sarebbe stato formalmente riconosciuto fino al referendum del ’74 e l’aborto era illegale e lo sarebbe stato per ancora sei anni. Non so voi, ma quando sento parlare di divorzio o di interruzione di gravidanza, per quanto si tratti di scelte difficili e dolorose, sono abituata a considerarle diritti basilari, come andare a scuola o essere curata in caso di malattia. Per le nostre madri non era così. Non sto parlando di personaggi di cui si legge nei libri di storia, collocate in uno spazio – tempo indefinito, ma delle donne a noi più vicine. Le nostre nonne non potevano neppure votare. Che fortuna abbiamo noi? Quale grande privilegio abbiamo avuto? Vi immaginate cosa significhi vivere in un mondo dove se vuoi porre fine ad un matrimonio devi pregare Dio che tuo marito sia una persona civile e ti consenta di andartene senza ammazzarti? Vivere in un mondo dove se eri tu a tradire tuo marito e lui ti uccideva per questo, avrebbe avuto una pena lieve perché fino al 1981 la legge italiana prevedeva l’esistenza del delitto d’onore? Vivere in un mondo in cui, se per qualche ragione, non volevi o non potevi avere un figlio, dovevi scegliere se morire sotto i ferri di una mammana o essere perseguita dalla giustizia? Significa vivere nella paura e nella sudditanza. Nessuno si augura di dover prendere simili decisioni nella vita ma abbiamo il diritto di scegliere. Dobbiamo averlo. Siamo esseri umani, prima che donne o uomini. E abbiamo il dovere di comportarci come tali.

Tantissimo resta ancora da fare perché le donne siano davvero libere di poter vivere la propria vita, di potersi sentire sicure in ogni momento, anche per strada di notte, di poter avere i diritti che spettano ad una persona in quanto tale, uomo o donna che sia. Ma domani mi piacerebbe che fosse il giorno in cui celebriamo le donne (e gli uomini) che hanno combattuto perché tutto quello che oggi diamo per scontato diventasse una realtà, che ci hanno regalato un presente, che anche se difficile, è comunque nostro, a cui dobbiamo tutto e in memoria dei quali non dobbiamo mai smettere di lottare per la nostra dignità. A partire dalle piccole cose.

Auguri, amiche. Ve li faccio di cuore e spero che anche in quelli che farete e riceverete ci sia la speranza di un futuro ancora migliore per i nostri figli. Che deve partire da noi e dall’eredità che abbiamo ricevuto.



Vi bacio

SS

P.S. In queste due settimane di latitanza, il mio blog ha compiuto il suo primo mese. Grazie a tutti voi che avete letto, commentato, mi avete incoraggiato a scrivere. In ogni modo possibile. Avessi anche tre lettori (non credo siate molti di più) per me siete il mio pubblico, il bene più prezioso di una “parolaia” come me.

sabato 23 febbraio 2013

Malachia salvaci tu!


Anche se oggi è il 23, è la Vigilia. Non di Natale purtroppo ma di due eventi “tragici”: le elezioni e l’ultimo angelus del papa. Ora, cosa abbiamo fatto di male noi italiani per meritare tutto questo?! Tutto concentrato insieme poi! Non so voi, ma io mi sento sull’orlo del baratro e da un certo punto di vista, non vedo di finirci dentro, almeno questa agonia avrà fine. Ma andiamo con ordine.

Le elezioni. Non ho mai avuto una fervente passione politica anzi la gestione della res publica mi ha sempre piuttosto annoiato ma ora dal tedio siamo passati al vomito! Fino a qualche settimana fa avevo deciso di non votare, non per un gesto di protesta, ma semplicemente perché non ritenevo nessuno in grado di rappresentarmi, pur non essendo particolarmente fiera di questa decisione. Anche se non ho mai davvero individuato una destra laica in cui riconoscermi, ho sempre votato a destra. Ma ormai non è più possibile. Chi dovrei votare? Berlusconi? Lega? Fratelli d’Italia? O forse Mir, capeggiato dal buon Samorì, ex ambasciatore della Repubblica di San Marino in Francia che dirotta vecchietti in gita per fare numero alle convention? Direi di no, non me la sento.  Mettendo da parte le ideologie, mi guardo attorno e chi vedo? Un centro guidato da Monti a cui, con quella faccia, dovrebbero dare la patente di iettatore. Uno che dopo aver sodomizzato gli italiani per un anno dice che la pressione fiscale va ridotta. Ma come?! Chi era al governo mentre tutti noi eravamo a 90? No grazie, cornuti passi ma mazziati anche no. Bersani? Io non ce la faccio proprio, mi dispiace. Va bene, i comunisti che mangiano i bambini non ci sono più ma è troppo sinistrorso per i miei gusti. Per di più mi domando come mai potrebbe fare a tenere insieme le istanze cattoliche con le richieste di Vendola. Ha ragione Crozza: gli costruirà la Tav per andare in Francia a sposarsi. No, non ci riesco. Ingroia? Perdonatemi ma per me Ingroia è Crozza. Uno che fatichi ad intedere quando parla e che si stanca a sostenere un’intervista di 10 minuti figurati a governare un Paese. Ne restano due. Grillo MAI! Non mi piaceva da comico, figuriamoci da politico. Trovo sia un personaggio inquietante. Perfino pericoloso. Uno che strumentalizza la parola democrazia ma nemmeno sa che significhi. Trovo che le parole di Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, sintetizzino con maggiore chiarezza ed autorevolezza la mia opinione. Resta lui: Giannino. Io voterò lui. Laurea o meno. Con o senza master. Essenzialmente per una ragione: perché è un homo novus. Uno che ha il coraggio di prendersi le proprie responsabilità pubblicamente, che riconosce i propri errori. Perché lo scivolone l’ha fatto, inutile negarlo, ma siamo davvero così sicuri che si tratti di un errore imperdonabile? Massimo Gramellini ve lo può spiegare meglio di me.

Ora che ci penso, in realtà, in questo panorama sostanzialmente desolato e desolante, dove ci si augura che vinca il meno peggio, l’unico che davvero vorrei vedere diventare premier è Maurizio Crozza.

Il Papa. Ammetto che sono di parte. Nonostante la formazione cattolica, più passa il tempo e più la Chiesa come istituzione mi provoca l’orticaria. Diciamo che Ratzinger (e la sua corte porporata) ha aumentato le mie manifestazioni allergiche. Negli anni del suo pontificato, il Vaticano è tornato indietro di centinaia di anni. Progresso non significa scrivere (unidirezionalmente) su Twitter ma comprendere di vivere in un mondo che non è più quello di 2000 anni fa, riconoscere che la Chiesa non è un ente astratto ma è fatta di uomini e come tali fallibili ma soprattutto fallaci. Penso che il coraggio o la senescenza non abbiano nulla a che vedere con la “scelta” del papa di abdicare. Probabimente le vere ragioni non le sapremo mai, verranno chiuse dentro gli armadi in cui, da secoli, il clero continua a chiudere i propri scheletri. Il rischio o la speranza è che prima o poi le serrature non tengano più e tutto esca allo scoperto. Alla luce di tutto ciò, mi sto ricoprendo il corpo di bubboni all’idea dei telegiornali di domani che trasmetteranno le immagini del pontefice con la voce di Torakiki che parla ad una folla lacrimosa e commossa. Ma di che?!? Mica è morto (purtroppo)! L’unica ragione che ho di rimpiangere, sin da ora, Ratzinger è che fino al conclave verrà sostituito dal Cardinale Camerlengo, Tarcisio Bertone. Un uomo illuminato tra le cui dichiarazioni si annovera quella per cui la pedofilia è collegata all’omosessualità, non al celibato. Sua Emimenza, mi piacerebbe ragionare con la sua medesima modernità e metterla al rogo!



Direi che di fronte a tali Sodoma e Gomorra non ci resta che una speranza: che abbia ragione la profezia di Malachia e che, in un colpo solo, Parlamento e Vaticano e vengano spazzati via! Pregate San Malachia stasera!

Vi bacio
SS

sabato 16 febbraio 2013

Sanremo 2013: appunti liber(tin)i


Attenzione, astenersi perbenisti e bigotti! Data l’ora, post senza censura! Ho aspettato che finisse Sanremo per qualche riflessione sparsa e ora, a poche ore dalla finale, sento che posso mettere nero su bianco i commenti maturati su questa edizione 2013.

I cantanti – a onor del vero non ho ascoltato tutte le canzoni, quindi mi sento di dare un giudizio solo sui finalisti. Elio voto 10. Canzone splendida nel suo assoluto nonsense. Strepitoso il travestimento da tenori obesi. Avrà causato una fitta di nostalgia nella vedova Pavarotti? Modà voto 5. Miracolati. Canzone insulsa. Non meritano una parola di più. Mengoni voto 10. Ok piace alla ragazzine. La canzone, molto orecchiabile in puro stile festival. Ma ad una inguaribile innamorata dell’amore “mentre il mondo cade a pezzi/io compongo nuovi spazi/e desideri che/appartengono anche a te/che da sempre sei per me/l'essenziale” non può che piacere.  Si prevedono canti a squarciagola e lacrime a fiume in macchina. Poi il giovanotto è grazioso, molto. Sospetto fortemente sia gay purtroppo (come il 95% degli uomini belli. Il restante 5 solitamente è sposato). Solo la passione sincera per l’augello può suscitare un’empatia così vibrante.  Bravo.


Gli outfit – mediamente terrificanti.  Alcuni flash di questa sera: Simona Molinari ha un fisico bellissimo perché guastarlo con una tenda rubata ad un centro massaggi cinese? I misteri della vita. Non Classificabile invece Malika Ayane. Ora, bella non è mai stata. Soprattutto non le perdono di essersi trombata (immeritatamente) il mio Cesarino e di averlo impunemente scaricato. Ma cosa le è capitato? Cos’ha dentro la testa il suo parrucchiere? Che look è? Una via di mezzo tra una portinaia di un film di Ozpetek e una meretrice mal messa di un film neorealista. Bocciata senza possibilità di recupero.



La conduzione – eh, qui signori miei, viene il bello! Che dire della conduzione? Onestamente penso che, solo in un paese alla deriva come l’Italia di questi anni, due mediocri come Fazio e Littizzetto possano suscitare ammirazione. Ma vado a spiegare più nel dettaglio. L’essenza di Fabio Fazio può essere racchiusa in un’unica parola: inutile. Un volto che da 20 anni a questa parte ricorda il testicolo rattrappito di un vecchio. Ma soprattutto il carisma di un testicolo rattrappito. Cosa mi rappresenta di preciso? Non è un comico, non è un giornalista, non è un presentatore. E’ una marionetta incapace di avere una utilità perfino come ammazza mosche. Sì, perché la sua sagacia non riuscirebbe a scalfire nemmeno un moscerino. Se a Che tempo che fa, gli ospiti si sedessero da soli davanti alla telecamera e facessero un monologo, sarebbe assolutamente uguale. Vada ogni giorno in chiesa ad accendere un cero alla Madonna perché solo un’influenza soprannaturale può far sì che una simile cagata di piccione possa guadagnare 500 mila euro in 4 giorni! Passi la quaresima a recitare rosari! 





E poi lei: Luciana Littizzetto. Inqualificabile. Una voce fastidiosa. Un umorismo che, personalmente, non mi fa ridere. E una bruttezza inaccettabile. E proprio in questo ultimo dato sta secondo me la chiave della sua (presunta) comicità. Sua e di una simile categoria di comiche italiane. Ricordate La volpe e l’uva di Esopo? La povera volpe, pur bramando di raggiungere l’uva, non riuscendoci perché fuori dalla sua portata, si consolava dicendosi che fosse acerba. E così lei. Luciana perché tutto questo livore nei confronti del sesso maschile? Perché ti riferisci al pene chiamandolo “Walter”? Walter mi ricorda Veltroni. Ti pare possa in qualche modo creare una qualche associazione di idee con un venerabile membro? Perché lo chiami “lombrico”? Inizia a sorgere in me un dubbio: non è che poco poco, anche Rocco Siffredi si troverebbe con lombrico in mezzo alle gambe (magari un capitone, ma non è la lunghezza a fare la differenza) al tuo cospetto? Sì perché, cara Luciana, c’è solo una parola che possa definirti: BRUTTA. Ma brutta senza speranza. Brutta da sempre. Quella bruttezza davanti alla quale nemmeno un elettroshock può far risvegliare una minchia! Effettivamente hai ragione a parlare di lombrichi: credo che di fronte a te lo sventurato membro vada a rintanarsi nell’ano del proprietario esattamente come un invertebrato! Essere brutte è una disgrazia, non una colpa. Ma nel tuo caso invece lo è. Ti mancano forse i soldi per andare da un chirurgo? Direi proprio di no. E allora perché ci devi ammorbare dapprima con la tua pessima presenza e poi con la tua ironia triste? Grazie a Dio, non tutte le donne sono come te. Crogiolarsi, che sia nel fango o nelle proprie sciagure, è un comportamento da suini non da esseri umani. Ma tu, furba, ci lucri! Ok, gli uomini, mediamente, sono degli stronzi. Ma sono anche convinta che gli uomini post rivoluzione sessuale siano sempre più fragili, insicuri, terrorizzati da donne che vogliono essere ( a volte in verità, sono) più forti di loro. E cosa ci ritroviamo poi? Maschi attaccati alle sottane delle madri, pronti a farsi manipolare da donne che gli danno una parvenza di sicurezza. Ci lamentiamo ma li sbeffeggiamo. No, a me non piace. A me questi maschi un po’ ghettizzati, questi metrosexual incerti, fanno sì rabbia ma soprattutto tenerezza. Essere donne forti non significa sopraffare gli uomini. Dopo secoli di soprusi dovremmo saperlo. Altrimenti ci trasformiamo da vittime in carnefici e i nostri nipoti si troveranno a dover richiedere le quote azzurre. Io, da donna, non voglio questo. Voglio uomini autonomi non panda da proteggere dall’estinzione. Per cui tu e le frustrate come te non generalizzate: è in te che c’è qualcosa che non va, non nei maschi italiani. Investi questi 500 mila euro di Sanremo da un bravo chirurgo: fatti rifare il naso, tirare le rughe, tagliare il doppiomento, alzare le tette, liposucchiare culo e ginocchia. Secondo me con 50 mila euro te la cavi! Prova ad avere una portamento da femmina e non da ippopotamo. Poi vedrai che guarderai agli uomini con un pochino più di serenità. Tutte (e tutti) te ne saremo grati. E forse sarai anche un po' più simpatica.

Buonanotte miei fedeli lettori e buona lettura domenicale

Vi bacio
SS

mercoledì 13 febbraio 2013

Cuori infranti


Non lasciatevi trarre in inganno, non è di San Valentino che intendo parlarvi questa sera. I cuori infranti in questione sono, nello specifico, il mio e ancora il mio e il malefico cuoricino rosso dell'immagine non ha nulla a che vedere con l’amore: si tratta del logo di Fashiolista. In realtà, ho fatto la scoperta dell’acqua calda. Il sito esiste già da almeno un paio d’anni. Io, per mia fortuna (o sfortuna, dipende dai punti di vista) ho scoperto l’omonima app soltanto la scorsa settimana. Ed è stato un colpo di fulmine.



Anzi direi quasi una malattia. Fashiolista è una specie di immensa wish list, una lampada di Aladino in cui si trova quasi più di quanto sia possibile desiderare.Peccato che il genio non ci sia. O se c’è, mi fa sistematicamente il gesto dell’ombrello. Perché sta qui la vera sventura: l’indigenza. Perché proprio io dovevo nascere povera? Se il destino beffardo aveva questo progetto per me non sarei potuta nascere con il gusto dell’orrido? Una di quelle pulciose che si tingono i capelli in casa di colori improbabili, che comprano i cosmetici al mercato,scarpe e vestiti alle bancarelle dell’usato e stipano i loro immondi ammennicoli nella borsa lavorata a maglia dalla nonna?!? No, ovviamente no. Io sono nata Re Mida. Quello che tocco è oro. In un qualunque luogo, come una rabdomante nel deserto, riesco sempre ad individuare l’oggetto più costoso. E solitamente è quello che mi piace di più.

Sono io l’unica disgraziata che prova i vestiti pregando Gesù che le stiano malissimo per non dover spendere l’euro? Riesco a spendere soldi ovunque. Perfino in farmacia. Lamia carta di credito arriva a fine mese che lacrima sangue come la Madonnina di Civitavecchia. Una tragedia. E la scoperta di Fashiolista è l’apoteosi. Come chiudere un obeso a dieta in pasticceria intimandogli di non toccare nulla.Credo che la scelta degli infami creatori del sito di scegliere come logo un cuore sia venuta dalla forma che assumono i miei occhi davanti alla possibilità di ridurre lo stipendio in cenere facendo shopping! Amiche, povere, misere,tapine, potete capirmi? Non sono sola in questa sciagura, vero? Per rendervi conto della situazione potete visitare il mio profilo, oltre che collegarvi al perigliosissimo sito dal widget che ho provveduto a collocare sul blog.

Stateattente, non mi assumo responsabilità per perdite di senno!


P.S. C’è qualcuno, dai gusti molto più semplici di me, che il senno lo perde davanti a semplici manufatti commestibili, come i tartufini che ho preparato lo scorso weekend! Vero Vin? Se fate i bravi vi svelo la ricetta...

Vi bacio
SS